Nel 1999, il campione del mondo di scacchi Garri Kasparov decide di misurarsi in una partita speciale: contro di lui gioca il World Team, una squadra composta da 58.000 giocatori provenienti da settantacinque paesi diversi. Kasparov vince dopo sessantadue mosse.
Si tratta della più grande partita online mai giocata nella storia: un server la ospita, una banca la sponsorizza, tre milioni di spettatori la guardano e Kasparov, per sua stessa ammissione, bara, leggendo i commenti che l'altra squadra si scambia su msn.com per accordarsi sulla mossa successiva (decisa sulla base di una votazione).
Quello dei videogame è diventato un mercato “serissimo” ed enorme: siamo ben lontani dagli anni Ottanta, quando le competizioni videoludiche mettevano in palio soltanto la gloria; oggi, i montepremi si aggirano intorno ai 100 milioni di dollari. Nel 2019 sono stati spesi 120 miliardi di dollari in videogiochi, Bugha (il sedicenne americano Kyle Giersdorf, vincitore del Mondiale di Fortnite 2019) ha vinto quasi tre milioni di dollari, e entro il 2024 si prevede una crescita esponenziale: per effetto del diffondersi del 5G, il cloudgaming potrebbe quadruplicare il valore del mercato. Parallelamente, si assiste all'incremento dei problemi di chi nel mercato in crescita vi opera (o meglio, del valore di questi problemi). Alcuni esempi recenti: nel 2021 Star Citizen ha raccolto 400 milioni di dollari grazie a una campagna di crowdfunding lunga nove anni e, tuttavia, il gioco è ancora in via di sviluppo, cosa che rende molto scontenti i suoi fan e donatori; Apple ed Epic Games si sono sfidati in un lunghissimo “processo tech” che si è concluso, nel 2021, con la condanna di Epic al risarcimento di tre milioni di dollari e mezzo; di recente, Activision ha bannato 60.000 account da Call of Duty Warzone, i quali avrebbero utilizzato software per truccare le partite.
Se il gioco è sempre serio (si è mai visto un bambino ridere dopo aver perso una partita?), il gaming è ormai comparabile a uno sport (qual è la differenza tra “gioco” e “sport”? Questa è un'altra bella storia) … Si parla, infatti, di e-sports giocati in e-stadium e che coinvolgono una serie indefinita di soggetti, dai players ai caster (i commentatori delle partite), dalla software house ai game designer, dalle agenzie di marketing alle organizzazioni competitive, dai supporter agli scommettitori. Basti pensare che già solo nelle e-sport academy (le piattaforme online dedicate alla formazione) rilevano diverse figure: come i business manager, i team manager, i coach e i mental coach.
Tanti sono i soggetti coinvolti, quanti sono i rapporti (e i problemi) giuridici che vengono in rilievo, eppure l'ordinamento non è sempre in grado di dare risposte: la legge è rimasta indietro, non riuscendo a stare al passo con l'enorme e repentino sviluppo del gaming. Il sistema legislativo è fortemente lacunoso, se si pensa che manca addirittura una definizione giuridica di “e-sport.”
“E lasciateci giocare in pace” potrebbe esordire qualcuno, ma nessun gioco, per definizione, è mai stato privo di regole. Anzi, sono proprio le regole il tessuto in grado di rendere il gioco serio e, in quanto serio, divertente. Ogni gioco – da quello dell'oca a nascondino, dal pari e dispari alle cinque pietre – ha, infatti, regole obbligatorie e incontrovertibili; se ad esse si trasgredisce, il gioco si interrompe e il divertimento svanisce, perché per prima è svanita la serietà.
Non può esservi, così, un gioco senza lealtà, al punto che nel gergo è stata coniata una parola ad hoc: “cheattare” – che richiama il verbo “to cheat” (tradire, barare). Ancora una volta una questione giuridica: cheattare è un reato? In alcuni casi potrebbe essere considerata una vera e propria frode informatica, in altri si tratta di accesso abusivo a un sistema informatico, in altri casi ancora il comportamento è punito soltanto all'interno del “sistema gioco” (attraverso la squalifica, la perdita dell'account, la pubblica umiliazione).
Che vi siano delle interconnessioni tra gioco e diritto non v'è dubbio; come è indubbio che tra i due sistemi ricorra una somiglianza: Huizinga, in Homo ludens, fa l'esempio del processo, il quale possiede il carattere competitivo tipico del gioco (principio agonale), regole fisse in forme consacrate (toghe, riti, termini, parrucche e formule), la necessità che intervenga la decisione di un arbitro (o di un giudice) e l'ineluttabilità della fine, che si traduce sempre in una vittoria o in una sconfitta.
Certo, tra i due mondi vi è una linea di confine che non può che fare da cesura: il gioco è tale in quanto è un atto libero, mentre il processo potrebbe sembrare, semmai, la riproduzione obbligata di un gioco. Perché sia fatto salvo l'aspetto ludico è quindi necessaria la libertà, ma la regola e la legge non si pongono in antitesi con essa: anzi, nessuna libertà è garantita senza una norma che la dichiari inviolabile.
I rapporti giuridici che coinvolgono i soggetti del mondo videoludico sono infiniti, come infiniti sono i problemi che tra di essi possono sorgere. Più il mercato del gaming aumenta di valore, più si complica, dando origine a diverse questioni di rilievo giuridico.
Se dal campo dell'e-game si passa, concettualmente, al campo dell'e-sport, questo, come gli sport tradizionali, dovrebbe avere un regime giuridico specifico: a oggi, invece, è un settore sprovvisto di una regolamentazione propria.
In che modo, allora, il “diritto” si occupa del “gioco”?
Quali sono le domande a cui la legge dovrebbe trovare risposta? Quali sono i problemi giuridici che interessano il mondo dei videogame? Nella miriade delle questioni irrisolte, delle soluzioni taciute e dei possibili cavilli, proviamo a individuare alcuni tra i punti più delicati.
Le regole contrattuali del gioco
La tutela del minore
Il giocatore, il lavoratore
Il pro-player firma un contratto con un club, in cambio delle sue performance riceve uno stipendio e, in alcuni Stati, persino assistenza sanitaria e previdenziale.
Si tratta, quindi, di un lavoratore dipendente? Se così fosse, dovrebbe essere esteso ai pro-player il regime del lavoro subordinato, con tutti i diritti che da esso sono garantiti.
La proprietà intellettuale
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Credits Copertina: Ryan Quintal su Unsplash